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Gay & Bisex

Immagini dalla Sessualità - Parte 3


di Drew75
19.02.2025    |    62    |    0 8.7
"Sono sempre stato una persona riservata, anche se ho avuto tanti amanti e tanti amici, anche se so stare bene in compagnia e non faccio parte della..."
Passarono alcuni anni prima che quel sogno, che così soventemente tornava durante le mie fantasie solitarie o che spesso confrontava la fellatio di una donna conosciuta occasionalmente con quella di quell’uomo in ginocchio davanti a me, tornasse a farsi realtà. Fu l’amico del fratello di un amico, dichiaratamente omosessuale e costretto all’esilio nella grande città perché le voci di un paese di provincia, anche in anni spiccatamente moderni, erano sempre contundenti, conosciuto durante una grigliata, a far scattare di nuovo quel feeling omosessuale che mi aveva trascinato nella stanza d’albergo tempo addietro.
Era ben più giovane di me, dal corpo snello al limite della magrezza patologica, che l’abbigliamento total-black certo non aiutava a mascherare; aveva un modo di fare particolare, sembrava essere presente ma parallelamente navigare per spazi tutti suoi, interagiva con gli altri come fosse una farfalla che si posa sui diversi fiori per saggiarli tutti e, nel contempo, appagarli della sua presenza.
Tra noi scattò subito quella sintonia chimica che non si può spiegare, quell’intesa che ti fa apprezzare le persone al primo sguardo, al primo contatto, alla prima parola. Sono sempre stato una persona riservata, anche se ho avuto tanti amanti e tanti amici, anche se so stare bene in compagnia e non faccio parte della tappezzeria delle feste, le chiavi del mio intimo sono state consegnate a poche, pochissime persone. Con Edo scoprimmo di avere gli stessi interessi musicali, letterari e artistici; lui era un pochino più intellettualmente elitario mentre io volavo a quote molto più pop, mi piaceva lo sport e la parte eno-gastronomica della vita, cosa che per lui era totalmente indifferente. Mangiava, poco, proprio perché doveva e il bicchiere gli restava sempre pieno; lo alzava e lo portava alle labbra solo quando qualcuno chiamava un brindisi. Spiluccava con la punta delle dita stuzzichini e aperitivi, delle due costine che gli servirono sul piatto di carta, sezionò la parte più magra in minuscoli pezzi che si portava alla bocca con parsimonia. Io, invece, ero un vorace divoratore di carne, preferibilmente al sangue, e le grigliate erano uno dei miei momenti preferiti. "Quella fetta di picanha che ti hanno fatto scivolare in bocca," mi disse quando ci rivedemmo da soli, "te la avrei spalmata sul petto, fino giù, giù, giù, per rendere ancora più gustosa la tua di picanha." Non era un ingordo ma sicuramente un buongustaio.
Alcune settimane dopo la grigliata ricevetti un suo messaggio che m’invitava ad una mostra di stampe d’autore. Da parecchio tempo non mi lasciavo immergere nell’arte, avevo preferito passatempi più concreti, pensando a godere e guadagnare, magari a faticare con qualche sport o abbandonandomi completamente ai bagordi, sicuramente a inseguire gonne e gonnelle da cui trarre un piacere immediato. Nell’atmosfera ovattata della mostra mi lasciai condurre dalle immagini dietro ai vetri dei quadri e dalle parole di Edo, laureato in Beni Culturali che, con il suo modo di fare suadente e affasciante, riusciva a farti apprezzare anche la macchia di umidità che c’era sui muri. Persi completamente il senso del tempo, io, che da qualche anno vivevo sempre con i minuti contati, con il pensiero rivolto altrove, con il desiderio di essere sempre in un altro posto prima ancora di aver gustato quello in cui mi trovavo, con l’ansia di arrivare tardi e non fare in tempo, - non fare in tempo a fare che, me lo chiedevo continuamente senza trovare mai una risposta, - percepii ogni sfumatura, ogni segno lasciato su carta, ogni tratto d’inchiostro, ma soprattutto ogni idea dietro a quelle tonalità, a quei segni, a quelle macchie di colore. Divenni il pittore che si arrovellava per ottenere il risultato desiderato, provai la sua fatica per riuscire a trasmettere il suo pensiero agli astanti. Spesso è facile liquidare un’opera d’arte con brevi frasi, con un "mi piace" oppure "mi fa schifo", ed è lecito; ciò che è meno lecito è non dare il giusto peso al lavoro dell’artista che sta dietro quei segni per quanto infantili possano sembrarci. Da quei tratti, ciascuno diverso dall’altro, ciascuno unico, riuscii a percepire l’essenza del messaggio dell’artista, un’essenza che è quanto più di universale ci sia perché viene veicolata da una lingua comprensibile a chiunque.
A visita finita mi lasciai condurre dal fascino di Edo prima in un piccolo bistrò per recuperare dalla lunga sessione artistica, e poi a casa sua. A dispetto del suo aspetto gracile e dimesso, si rivelò, diversamente dall’uomo che mi aveva abbordato all’hotel e avviato al piacere omosessuale, intraprendente e risoluto. Appena chiusa la porta alle nostre spalle mi appoggiò al muro e mise le sue labbra sulle mie, la sua lingua contro la mia. Era la prima volta che sentivo la bocca di un altro uomo sulla mia; avevo fantasticato a lungo su questa circostanza, mi ero chiesto spesso come avrei reagito ad un bacio omosessuale, mi ero domandato se la mia anima maschia avrebbe accettato questo scatto in avanti della mia sessualità o se si sarebbe rifiutata, perché un bacio rappresenta molto di più di un pompino o di una sega, un bacio significa "amare" l’altro e non semplicemente scoparci insieme. Mi lasciai andare. Apprezzai quel bacio che, dopo il primo impatto piuttosto rude, si stava rivelando molto piacevole e sensuale; l’ispido della sua barbetta incolta si fondeva con la mia, più lunga, più adulta, più ruvida e donava a quel bacio una sensazione maggiore, amplificando l’eccitazione che le nostre bocche creavano. Fu proprio un sentimento di immensità, quello che mi condusse a godere di quel bacio, il desiderio di essere guidato verso nuove esperienze; desideravo esplorare appieno il mio gusto della sessualità, senza fermarmi davanti a pregiudizi o preconcetti, e mi parve che Edo facesse proprio al caso mio, con la sua risoluta decisione nel dirigere i giochi.
Con i vestiti che scivolavano per terra, lasciando una lunga scia d’indumenti, caracollammo sul divano dove, torsi nudi, sfregammo i nostri corpi uno contro l’altro. Sulla coscia potevo sentire, oltre il tessuto degli slip, il suo pene eretto mentre il mio, gonfio di ebbrezza, faceva lo stesso contro la sua gamba. Non mi sentivo per nulla imbarazzato, quel disagio che avevo provato la prima volta quando l’uomo dell’albergo aveva accarezzato il mio sesso e lo aveva venerato, era un ricordo lontano, ora provavo solo desiderio. Capii che non mi sarei fermato davanti a nulla. Andai oltre la schiena di Edo e appoggiai una mano sulla sua natica, stringendola e tirandolo a me, come avevo fatto centinaia di altre volte con le donne che avevo amato. Lui, sopra di me, seguì il mio movimento e spinse più energicamente il suo uccello contro il mio bacino. Si staccò dal mio viso. Era rosso in volto, accaldato dall’eccitazione, il fiato corto. "Cazzo." disse tra un sospiro e l’altro, "Baci bene." e tornò a succhiare la mia bocca con la sua. Io godevo di quel bacio, mi trascinava verso confini che non avevo mai neppure pensato di esplorare, mi sentivo trasportato verso lande sconosciute che aprivano però un universo di possibilità. Infervorato dalla passione, in un impeto di audacia, infilai la mano tra di noi e gli afferrai l’uccello. Una scarica di eccitazione percorse il mio braccio fino a giungere al cuore e al cervello, avevo oltrepassato un altro limite della mia sessualità, passo dopo passo sentivo di andare a completarmi, a scovare piccoli pezzi di puzzle per disegnare il grande quadro del mio essere uomo. Stringere tra le mani un fallo altrui si rivelò una sensazione appagante che non si distaccava molto dalla normalità, mi sentii come se non avessi fatto altro che quello durante il corso della mia vita.
Attizzato dal mio gesto, Edo si staccò di nuovo da me, balzò in piedi e, tenendomi per la mano mi condusse in stanza da letto. Potei ammirare la sua schiena magra, quasi ossuta, che terminava in due spalle aguzze in alto e in due natiche particolarmente piene in basso. Mi gettò sul materasso e si fiondò sul mio sesso, lo ingoiò fino alla radice per poi cominciare a muoversi velocemente su e giù, tenendo con le dita la base dell’asta. Vedevo la sua testa salire e scendere al ritmo della fellatio e godevo di quel piacere che mi stava regalando. Nella mia testa ricomparivano le immagini di quella sera all’hotel e confrontavo i due lavori di bocca: erano diversi, completamente diversi, perché diverse erano le situazioni, perché diverso ero anche io, timido e quasi stranito quella sera lontana, accompagnato verso un piacere sconosciuto e mai preso in considerazione, combattuto tra due anime che non pensavo di avere; consapevole di quel che potevo e volevo fare quel pomeriggio a casa di Edo, aperto e disponibile all’esplorazione di ogni sfaccettatura della mia sessualità e delle potenzialità della stessa.
Mi sottrassi a quella bocca affamata per prolungare i giochi e il piacere, "Vieni", dissi a Edo tirando a me il suo viso. Gli succhiai la lingua per assaporare il mio stesso afrore, allungai le mani e le infilai sotto gli slip che ancora portava, gli strinsi le chiappe e gliele massaggiai. Avevo il suo uccello duro contro il mio, altrettanto duro e umido della sua saliva. Lo girai sulla schiena e mi misi a cavalcioni sopra di lui. Lo guardai, solo ora notavo i suoi occhi chiari contornati dai capelli neri e la carnagione pallida. Gli misi le mani sul petto scarno lo accarezzai sui fianchi e scesi, scesi, scesi fino sfilargli la biancheria e far erompere il suo pene turgido. Per la prima volta vidi dal vivo un cazzo eretto e pronto all’amplesso; finora m’era capitato solo nelle docce del calcio ma ero sempre stato troppo intriso di machismo per soffermarmi sui falli altrui. A dispetto del suo aspetto segaligno, Edo era dotato di un bell’attrezzo, lungo e dal diametro importante. A differenza del mio, che aveva la cappella vermiglia, la sua era della stessa tonalità dell’asta. Non me lo feci chiedere, lo afferrai e mi ci tuffai voracemente. Il primo contatto non fu per nulla avverso, mi ero chiesto spesso come avrei reagito ad un eventuale sesso orale omosessuale, temevo che la repulsione avrebbe avuto il sopravvento sul desiderio e sulla passione, invece, come per il primo contatto con la mano, la reazione fu di naturale piacere; aveva un buon sapore e la consistenza contro la lingua e le labbra era estremamente piacevole; mi diedi da fare il meglio che potei, cercando di capire dove e come gli facessi provare il maggiore piacere. "Non farmi stare a bocca asciutta." mi disse Edo tirandomi per una spalla. Mi girai sopra di lui e ci perdemmo in un lungo e profondo 69.
Non so per quanto tempo continuammo a girarci e rigirarci sul grande letto scambiandoci baci profondi e lunghi pompini, con le mani che palpeggiavano ovunque alla ricerca della più sensibile zona erogena. Mi immersi completamente in quell’esperienza di lussuria sensuale e voluttuosa in cui ogni gioco era permesso purché portasse l’altro al piacere assoluto. Sentii le sue dita lavorare attorno al mio ano, lasciando cadere gocce di saliva per lubrificarlo. Intanto io mi davo da fare su quel suo bel salame duro, lo succhiavo come non mi sarei mai immaginato capace di fare, lo tenevo in mano, gli massaggiavo i coglioni, gli accarezzavo le cosce e le natiche. Mi spinsi anch’io vero il suo buchetto posteriore e lo carezzai con le dita che avevo inumidito in bocca. Sentivo i suoi gemiti farsi largo tra le sue labbra e la mia asta, così come i miei cercavano una via d’uscita intorno alla sua cappella. Il tempo sembrava essersi cristallizzato nella carnalità del nostro amplesso.
"Ti voglio." mi disse scostandosi e troneggiando sopra di me in tutta l’altezza del suo busto e del suo uccello dritto che, standomi a cavalcioni, sfregava contro il mio. Il terrore dilagò il me, non era la paura di prenderlo, quel pomeriggio mi sentivo pronto a tutto, era il timore di non prenderlo bene. Nel mio lungo fantasticare sulle esperienze omosessuali, avevo provato anche la masturbazione anale, penetrandomi in solitudine per avvezzare il mio corpo, e anche il mio spirito, ad un eventuale incontro, che quel giorno si stava concretizzando. Avevo avuto esperienze diverse e anche contrastanti con l’autopenetrazione, a seconda dell’oggetto che avevo utilizzato, avevo goduto sì ma sempre con una predilezione nel menarmi il cazzo. Ero curioso di capire se, lasciandomi trasportare dal coito, avrei potuto godere dell’essere chiavato.
"Sarebbe la prima volta." ammisi schiettamente.
"Farò piano." mi confortò Edo. "Mi è già capitato di trovare un culetto vergine." sorrise e io mi smarrii in quelle labbra e in quegli occhi che mi apparivano così sinceri. Mi lasciai condurre verso nuovi lidi e accolsi le sue mani che lubrificavano il mio ano massaggiandolo lentamente, mi accarezzò con un dito fino a far schiudere il mio fiore, lo sentii entrare in me delicatamente. "Rilassati." mi disse mentre avvicinava il suo glande a me, lo percepii puntare al centro estatico del mio essere, quel nucleo che sempre teniamo nascosto come qualcosa di orribile e di immondo, la sua pressione iniziò a farmi male e anche se lui era estremamente delicato e cercò in tutti i modi di far schiudere il mio bocciolo, trattenendo le mie gambe vicino al suo viso, chiedendomi di appoggiare i piedi alle sue spalle, di tenermi le ginocchia con le mani; purtroppo l’esperienza non fu delle più felici e io non potei provare l’ebbrezza di un maschio dentro di me, né lui poté godere del mio profondo. Io, commiserandomi di non essere in grado di dare quel piacere che tanto agognavo regalargli, persi la mia eccitazione nonostante continuassi a masturbarmi; per contro Edo non aveva smarrito la sua e, tolto il preservativo, con ancora le mie gambe strette al suo petto si strofinò l’uccello tra le mie cosce e, aiutandosi con le mani, raggiunse l’apice dell’orgasmo fino a sborrarmi addosso, sul pene, sul ventre e sul torace. Per la prima volta nella mia vita sentii il caldo dello sperma altrui sulla mia pelle. Fu una sensazione indimenticabile, che porto sempre con me da quella meravigliosa prima volta, un ricordo che tengo insieme a quello dell’uomo dell’albergo che per primo mi accompagnò verso i piaceri omosessuali.
Il suo orgasmo, abbinato al suo getto caldo su di me, ebbe il risultato di risvegliare di nuovo la mia eccitazione. Edo, sebbene spossato dal godimento, se ne accorse e, da samurai con la spada sollevata, si tramutò in geisha dalle sensuali movenze. Si accoccolò tra le mie gambe e si prese cura del mio uccello tornato di nuovo baldanzoso; lavorando di bocca, di mano e sul buco del mio culo ancora lubrificato, spingendo un dito dentro al mio io profondo, mi condusse sino ad unire il mio seme con il suo, ben prima che questo si seccasse sulla mia pelle.
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